An end has start

I

La sabbia rossa scotta sotto i miei piedi nudi. Dove cazzo ho lasciato le scarpe? Di fronte a me una landa desolata di terra e sterpaglia, alla mia destra, in lontananza, vedo delle montagne sfocate dalla calura, a sinistra un Joshua Tree solitario. Tutto è immobile, eterno, come se la morte avesse raggiunto ogni cosa, persino gli insetti. L’albero la aspetta paralizzato, eppure i suoi rami contorti sono cresciuti sinuosi disperdendosi in più di una direzione.
Ho il corpo arso dal sole, vedo quasi il fumo diffondersi dalle mie braccia. Indosso solo una camicia a fiori, una di quelle orrende camicie alla Miami Vice e un paio di boxer dalle quali emerge una vistosa erezione. Dannazione, proprio adesso, ho bisogno di sangue al cervello. Devo pensare. Devo rendermi conto di come sono finito in questa situazione di merda. Solo, disperso nel deserto del Mojave. In mutande.
Adesso in mano ho un telefono, squilla. Non ci penso due volte a rispondere, dall’altro capo, una voce femminile mi dice: – svegliati.

mira-loma-motel

Driiiin. Il telefono continua a squillare. Apro gli occhi, la prima cosa che metto a fuoco sono i miei piedi, più in primo piano, di nuovo quell’erezione. Driiin. Un dolore si dirama lungo il mio sistema nervoso. Mi sono addormentato senza cuscino, con il collo che forma quasi un angolo di 90 gradi tra il materasso e la testata del letto. In mano ho qualcosa di liscio e duro. Driiin. Una bottiglia di rum con poco liquido color caramello all’interno, la porto vicino alla bocca, ma l’odore mi fa venire immediatamente nausea.
– Mmm… rispondi al telefono – Dice una voce calda e ancora impastata dal sonno.
Mi giro di scatto alla mia sinistra, cosa che mi provoca una scarica di dolore che si irradia a partire dalla nuca fino ad arrivarmi ai denti. La luce filtra dalla veneziana, il sole deve essere già alto in cielo. Una ragazza è sdraiata a pancia in giù, intravedo dei capelli biondi fuoriuscire da un ammasso di cuscini, ecco dov’era finito il mio. Sulla spalla un tatuaggio colorato, uno di quei cazzodicosimessicani, sul braccio che tiene sul cuscino sopra la testa dei segni rossi intono al polso. Driin. Mi giro – con dolore – dall’altro lato, e vedo il telefono, lascio andare la bottiglia che vedo inevitabilmente rotolare verso il bordo del letto, ma non riesco a muovermi rapidamente. La vedo cadere, ma non sento alcun rumore, qualcosa l’avrà attutita. Ecco quel fottuto telefono sul comodino, allungo il braccio con la mobilità di un eroinomane strafatto, lo afferro e rispondo.
– Hamm… hallo…
Una voce registrata mi ricorda che sono le 3 del pomeriggio, e che il personale del Mirage Motel è lieto di accontentare qualsiasi mia richiesta. Vorrei non aver mai richiesto una sveglia del genere. Asciugo la bava che ho alla bocca e decido di alzarmi. Guardo dov’è finita la bottiglia di rum, eccola adagiata sui miei vestiti accasciati a terra, fortunatamente non se n’è versato. Faccio un bel respiro, e mi scolo quel poco di liquido restante.
– MaryJane dai su, svegliati, ehm… tesoro, andiamo a mangiare qualcosa, a bere qualcosa, a fare qualcosa…
Lei si gira, scosta il cuscino, è bellissima anche così con l’aspetto di chi ha avuto una nottata, molto, movimentata. Delle manette giocattolo, di quelle col peluche rosa, sono appese alla testata del letto. Increspa le labbra in quello che dovrebbe essere un sorriso malizioso, allarga le braccia, io mi adagio su di lei e la bacio.
– Buongiorno baby – mi dice con una voce sexy – oggi non voglio bere, ho mal di testa, non mi ricordo nemmeno cosa abbiamo fatto ieri sera… ho voglia di pancakes e gelato.
– Pancakes a Palm Springs… mmm ok – le rispondo dubbioso
– Lavati i denti baby – mi sfotte.

II

– Hai pagato? – mi chiede MJ mentre finisce il suo Malibù
– Si miss-oggi-non-voglio-bere – la ammonisco
– Non sei riuscito a trovarmi le pancakes, mi consolo come posso – mi risponde alzando le spalle con le labbra attorno alla cannuccia.
– beh hai preso il gelato… – le dico mentre accendo una Marlboro.
– …non sono per niente soddisfatta – mi risponde con sguardo innocente.
– vieni – le porgo la mano.
La Mustang rossa cabrio che ho noleggiato all’inizio del viaggio ci aspetta in tutto il suo meccanico splendore occupando trasversalmente due posti, ma qui lo spazio non manca. Anche se riesco a notare lo sguardo di disapprovazione di alcuni passanti, o forse è la mia paranoia da straniero a farmelo pensare.
La strada è dritta davanti a noi, nessuna curva, potrebbe essere infinita per quanto riusciamo a vedere, e le montagne in lontananza potrebbero essere un miraggio. L’aria si fa leggermente più fresca mentre spingo il piede sull’acceleratore, dandoci un minimo di sollievo dalle alte temperature del deserto californiano. La radio suona Video Games di Lana del Rey, MJ alza il volume, guarda il paesaggio coi piedi fuori dal finestrino. Mi appoggia la mano sulla gamba mentre canta sottovoce parte del testo.
Aspetto che il brano stia per terminare e le chiedo – davvero non ricordi niente di ieri sera?
Si… o almeno fino ad un certo punto. Mi ricordo che eravamo in quel locale con quella coppia francese, poi tu ti sei allontanato per andare a prendere da bere, ah ecco, a proposito chi era quella troia col vestito bianco? – comincia ad incazzarsi.
– era la cameriera baby…
– ah ecco… comunque ti voleva scopare sicuro… – sento la sua mano stringersi sulla gamba.
– poi sono venuto da te a portarti il tuo cocktail, e non mi sembra ti stessi annoiando a parlare con Jean o Pierre o quello lì col suo cazzo di nome francese…
– Gilles… ed era con la sua ragazza!
Il cielo inizia a tingersi di rosso, il sole alle nostre spalle è una palla infuocata che sbuca violentemente dagli specchietti.
– si vero, però l’ho visto che flirtava con te, comunque neanch’io ricordo molto, mi sembra siamo usciti tutti e quattro in macchina e poi… boh… buio totale…
– già, il deserto… – vedo lo smarrimento nei suoi grandi occhi nocciola – ora che ci penso non ricordo nemmeno come li abbiamo conosciuti Gilles e Marie… ah si erano rimasti in panne con la macchina a pochi metri da quella stazione di servizio, ti ho detto dai fai la tua buona azion…
– ASPETTA! – esclamo d’un tratto vedendo una forma familiare alla mia sinistra.
Usciamo dalla carreggiata, la macchina inizia a sobbalzare sul terreno sabbioso e sconnesso, ma non accenno a decelerare fino a quando non arriviamo a pochi metri da un grande Joshua Tree. Spengo il motore, e scendo dall’auto, MJ guarda incuriosita prima me, poi l’albero.
Mi giro verso di lei e le dico – E’ il posto del mio sogno, dai scendi…
Quale sogno? – mi chiede mentre scende dall’auto, ha lo sguardo di qualcuno che ha appena visto un pazzo.
La guardo e le dico – dobbiamo fare una cosa!
Non le do neanche il tempo di rispondere che la bacio. Ci appoggiamo all’auto, adesso sembra divertita. La faccio girare di spalle, lei appoggia i gomiti sul cofano della Mustang, le alzo la gonna, mi tolgo le scarpe e i pantaloni…
Il Joshua Tree è immobile dietro di noi, eppure i suoi i suoi rami contorti sono cresciuti sinuosi disperdendosi in più di una direzione.